Quest’anno cercavo, sapete, uno di quei calendari d’Avvento con le caselle, da aprire una al giorno, per ultima la capanna di Betlemme. […]. Nelle cartolerie in cui sono entrata ne avevano esclusivamente però con Babbi, renne e slitte. «E con Betlemme, niente?» ho chiesto. «Non ci arrivano più», mi hanno risposto. […] È la cultura woke, mi sono chiesta? La rimozione di tutto ciò che non è culturalmente corretto, di quanto non è universalmente condivisibile con i non credenti, o credenti di altre fedi? Di modo che la Natività sta in un angolo, per non dare fastidio. La storia dei due pellegrini stanchi che non trovavano un tetto, lei presa dalle doglie, e finalmente accolti in una stalla, fino a vent’anni ancora era tramandata ai figli. Ora è messa da parte, come un’ingenua fiaba. Invece così terribilmente attuale, quella coppia di migranti soli nella notte e nel freddo, che nessuno accoglie. E fino a qui, forse, ci starebbero anche quei due, nella nuova cultura “corretta”. Lo scandalo è quel bambino, nato da donna che non conosceva uomo; è la pretesa che quel bambino fosse il figlio di Dio. Come si fa a raccontare certe cose, ai bambini d’oggi? Eppure vanno matti per renne, Babbi e gnomi. Quelli, non danno fastidio a nessuno. La piccola ricerca fra vetrine mi ha colpito: la fede comincia da piccoli, milioni e milioni di volte è ricominciata davanti a un presepe. Milioni di bambini, crescendo, poi l’hanno rinnegata. Ma rimaneva nel fondo della coscienza, silenziosa, Betlemme – quell’incredibile salvifico dono. A volte Betlemme riemerge, carsica, negli ospedali in cui vecchi soli pronunciano, sessant’anni dopo, una preghiera. In chi spereranno i nipoti, in Babbo Natale, in un giorno lontano? La tradizione cristiana allontanata dai bambini sa di decadenza di un mondo. Natale, è dire ai figli che Cristo è nato. Altrimenti renne, e slitte colme di regali, ma niente che resti – niente che duri per sempre.
(Marina Corradi, “Avvenire” del 17 novembre 2024)
dal Bollettino parrocchiale del 24 novembre 2024