I primi palloni, dopo quelli fatti di stracci che per moltissimi anni sono stati usati anche dai ragazzi della Conca, erano di gomma molto dura. Non era facile per i ragazzi avere un pallone con cui giocare. Fino agli anni ’60, con lo scarso traffico di allora, era normale vedere gruppetti di ragazzi e giovani giocare a calcio in mezzo alle strade o nelle piccole piazze, magari con palloni mezzi rotti e sgonfi. Uno dei luoghi dove i ragazzi erano soliti giocare era lo slargo davanti alla fabbrica di Facchinetti in via S. Rocco sul cui tetto spesso finiva il pallone di pezza: per fortuna c’era Alfredo Sudiero (Cavaléta) che, con molta agilità, in sata (spesso era scalzo) si arrampicava e saliva sopra al fabbricato a recuperarlo. Era il campo da calcio di via S. Roco.
Bepi Brigati (spazin comunale), quando passava con il carro carico di immondizie destinate alla discarica e trainato dal cavallo di nome Roma, abitualmente si fermava in mezzo alla strada.
Il cavallo sporcava con i suoi escrementi il campo da calcio con l’inevitabile disappunto dei ragazzi. Per loro fortuna Antonio Fanton, che abitava lì vicino, li raccoglieva per ingrassare l’orto.
I primi palloni in cuoio, molto pesanti e duri avevano una grossa fettuccia per chiudere l’apertura dove veniva introdotta la caramedaria. Se questa era stata fissata male, quando, giocando, veniva colpita di testa erano dolori. I palloni venivano usati solamente da giovani di una certa età, come pure le scarpe di cuoio con i tacchetti, mentre i ragazzi usavano scarpe di tela.
In Conca c’era la possibilità di giocare a calcio solo nel cortile del Patronato, il cui terreno era cosparso di sassi, aveva pochissima erba e i muri molto vicini alle porte. Fino agli anni ’50 era l’unica struttura del quartiere e per le partite ufficiali si usufruiva dello Stadio Comunale Miotto. Dal 1961, con la costruzione del nuovo campo da calcio, anche in Conca ci fu un notevole sviluppo di questo sport.
Negli anni ’60 molti ragazzi si ritrovavano tutti i giorni nel cortile del ricreatorio e giocavano interminabili partitelle di calcio senza numero fisso di giocatori: questi entravano ed uscivano a seconda di quando arrivavano. Le porte da calcio erano state tolte e quindi era stata studiata una variante: con il pallone dovevano colpire i pali di sostegno, in cemento, dei tabelloni del campo da pallacanestro che fino a metà degli anni ’50 era in terra battuta ed in seguito asfaltato: quando qualcuno cadeva erano guai. Sul muro lì vicino c’era una fontanella per dissetarsi e per risciacquare le sbrojade (escoriazioni) ai gomiti ed alle ginocchia che erano all’ordine del giorno, come pure i calci alle caviglie.