Una volta la biancheria di casa veniva lavata solamente due volte all’anno: si faceva la lìssia.
Dopo aver fatto bollire molta acqua nella caliéra (paiolo), si aggiungeva saponina, varechina e, al bisogno, soda caustica, provando la miscela calda immergendo le dita e poi succhiandole per sentire quando era pronta. Si passava il preparato nel bugaròlo (canovaccio) versandolo nel mestèlo (mastello) dove c’era già la biancheria da lavare e coperta con una quertòro (sopracoperta), assieme a una grossa quantità di cenere tolta dal fogolare (focolare) o dalla stufa e quindi si doveva pestare con i piedi.
Dopo qualche ora di ammollo bisognava lavare la biancheria e quindi risciacquarla. Nelle abitazioni dei contadini lo facevano in un làbio (abbeveratoio), mentre nelle altre si usava un’altra mestéla. Qualcuno, portandosi una tavola, andava lungo le rogge che passavano per la Conca e lì, con l’acqua fredda che faceva arrossire le mani e procurava le buanse (geloni), la risciacquava. Altri usavano i lavatoi che c’erano lungo le nostre strade.
Con l’arrivo dei primi detersivi, il primo, negli anni ’40 si chiamava Casa mia, e successivamente con l’arrivo di altri denominati Omo, Tide, Olà, Lasta, Ava, Kop, l’usanza della lìssia non è più stata praticata, mentre l’arrivo delle lavatrici è stato benedetto da tutti.
Per lavare le stoviglie si usava il detersivo Sole.
In quegli anni, per invogliare le massaie ad acquistare i vari detersivi in scatola (i primi venivano venduti sfusi), le case produttrici inserivano all’interno alcuni piccoli giocattoli: a casa, i bambini attendevano trepidanti l’arrivo della mamma per poter aprire le confezioni e trovare la sorpresa. Si ricordano i piccoli carri armati, le pistole ad acqua, le trottoline colorate, i piccolissimi bambolotti.
di Gianni D. F. 944
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